13 Febbraio 2021

freccia sx torna indietro

The dissident, la verità su Khashoggi

“Impara, agisci, fai la differenza”. È il monito che compare in chiusura del documentario sulla storia dell’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista saudita.

 

The dissident” è uscito il 25 dicembre scorso e fino a ieri è stato praticamente impossibile trovare una piattaforma streaming che in Italia distribuisse il nuovo lavoro del premio Oscar Bryan Fogel. Solo dal 12 febbraio, su www.miocinema.com è possibile acquistare la pellicola realizzata grazie ai finanziamenti della Human Rights Foundation.

 

La ricostruzione della vicenda si snoda a partire dal 2 ottobre 2018, giorno in cui Jamal Khashoggi e la sua compagna, Hatice Cengiz, si recano alla sede del consolato arabo ad Istanbul. Jamal deve ritirare un documento che certifichi il suo stato civile. I due vogliono sposarsi. Sono le 13:00 quando Khashoggi varca la soglia dell’ufficio consolare. Hatice lo aspetta per ore, ma da quella porta il suo compagno non uscirà più.

 

Chi lo accoglie all’ingresso lo conduce in una stanza al piano superiore, la sala riunioni, scelta con perizia. Qui ha inizio il suo percorso verso la morte. Qui lo hanno fatto a pezzi, letteralmente; come emerge da alcune intercettazioni. Ridevano, mentre lo smembravano con una sega da macellaio.

 

Presentato al Sundance Film Festival 2020, quello di Fogel è un lavoro di precisione, nel racconto quanto nella costruzione delle immagini. La sua è una minuziosa indagine supportata da testimonianze dirette, documenti ufficiali, filmati della polizia di Istanbul concessi dall’intelligence turca.

 

La pellicola tocca anche altri aspetti importanti ai fini della ricostruzione della vicenda: le intimidazioni e le pressioni volte a zittire chi criticasse il potere; le operazioni di hackeraggio e lo spionaggio per conto dei sauditi (anche, ma non solo, verso Jeff Bezos,  fondatore e presidente di Amazon oltre che proprietario del Washington Post); l’America di Trump che oscillava tra ignavia e inettitudine; la macchina del fango sull’onda di tweet verso chi dimostrava un pensiero altro da quello promosso dalla propaganda dei regnanti arabi.

 

All’esercito di mosche addestrate alla difesa della monarchia si contrapponeva la carica delle api, formata da attivisti e dissidenti sostenuti anche da Khashoggi. Lui era noto per avere opinioni precise e mai taciute in merito alla linea politica adottata dal principe della corona, Mohammad bin Salman, in Arabia Saudita. Viveva in esilio autoimposto negli Stati Uniti, dove aveva preso a scrivere sulle colonne del Washington Post criticando apertamente il governo del suo Paese.

 

“The dissident” mette a nudo le colpe del regime saudita, commuove portando sul grande schermo la vicenda umana, oltre che politica, del giornalista del Washington Post. La macchina da presa stringe spesso su dettagli e primi piani che esaltano le emozioni quanto i pensieri inespressi di vittime e carnefici.

 

Come mai il consolato saudita permette agli investigatori turchi di perquisire i luoghi dove sono accaduti i fatti solo 13 giorni dopo l’assassinio di Khashoggi? La storia dell’omicidio del giornalista saudita è sconvolgente. La ricostruzione di quei momenti e delle cause che hanno portato alla sua esecuzione, il luogo in cui essa è avvenuta, sono agghiaccianti. Le Nazioni Unite hanno avviato un’inchiesta indipendente grazie alla quale hanno identificato chi diede l’ordine di uccidere Jamal. Ad oggi, però, “non ci sono state sanzioni globali contro i sauditi per la sua uccisione” recita una didascalia.

 

Il presupposto da cui è partita l’indagine, condotta da Agnès Callamard, è legato a una serie di evidenze che secondo l’esperta di diritti umani e relatrice speciale per esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie nominate dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, connotavano l’omicidio di Kashoggi come una “operazione di Stato”. Un’esecuzione organizzata che, secondo quanto emerso, vedrebbe coinvolti sodali del principe ereditario Mohammad bin Salman e, probabilmente, lui stesso, che si è dichiarato estraneo alla vicenda anche se «la CIA ha stabilito che fu il mandante dell’assassinio di Kashoggi».

 

Lo stesso Mohammad bin Salman salutato dall’ex premier Matteo Renzi quale fautore di un “Nuovo Rinascimento”. In piena crisi di governo per l’Italia, crisi da lui innescata, l’ex sindaco di Firenze ha partecipato a una conferenza alla corte del principe ereditario in Medio Oriente, quale membro del board della Future Investment Iniziative Istitute, la fondazione creata per decreto del Re dell’Arabia Saudita.

 

Hatice Cengiz, in un’intervista al Fatto Quotidiano del 2 febbraio scorso, sottolineava: «Coloro che scelgono di sedersi alla corte di chi viola i diritti umani e di cantarne le lodi, fanno una scelta di schieramento: non sta a me giudicare. Sarà la loro coscienza e la storia a giudicarli».

 

Distrutta dal dolore Hatice, e con lei chi crede nella democrazia e nel diritto, nel valore della libertà, non smette di lottare affinchè venga fatta piena luce sulla morte del suo Jamal e i responsabili consegnati alla giustizia: «La verità vince sempre – afferma nella sua relazione alle Nazioni Unite, mentre la delegazione dell’Arabia Saudita lascia la sala – La storia ne prenderà nota. Per favore, agite. Grazie».

 

In una delle scene finali, Hatice torna nella casa che lei e Jamal avevano comprato per andare a vivere insieme una volta sposati. Nota che gli arredi sono cosparsi di polvere nera, chi l’accompagna le spiega che è servita per acquisire le impronte del giornalista. Apre gli armadi e anche i suoi abiti sono stati portati via. Le lacrime le bagnano il viso. Mentre ripone una valigia, l’inquadratura stringe sull’adesivo che ha su il nome del suo amore. Siede su una poltrona che Kashoggi aveva acquistato e non vedeva l’ora di provare, la accarezza come se lì ci fosse la sua mano.

 

«Se dovevo passare la vita con qualcuno – dice – doveva essere con uno come Jamal. Volevo aiutarlo, essere al suo fianco. Altrimenti ci lasciamo vivere. Nasciamo, cresciamo, mangiamo, dormiamo, viaggiamo… È con chi facciamo queste cose che dà senso alla vita. Dovunque ci porti la strada, con qualsiasi mezzo avremo a disposizione, abbiamo fatto la nostra scelta».

 

In un ulteriore passaggio le parole che accompagnano la sua testimonianza è come se la mettessero di fronte a una specie di rivelazione: «Ti ho conosciuto e ho cominciato a perderti». Quello che non perderà mai è l’eredità di valori e ideali vissuti e condivisi insieme.

«Jamal, mi senti? Sei diventato il resto della mia vita».

I contenuti presenti su questo sito sono di proprietà di Abellezz©
È vietata la copia e la riproduzione, anche parziale, dei contenuti in qualsiasi modo o forma.
È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.
Copyright Abellezz© 2020-2024 Tutti i diritti riservati – All rights reserved