Guillermo Del Toro, con le sue immaginifiche visioni, ci regala una versione di “Pinocchio” estremamente necessaria. La riscrittura del regista Premio Oscar tanto si discosta dalla versione originale della storia quanto ne ricuce una connessione con l’attualità.
Il soprannaturale avvolge la vita come la morte, in un’ambientazione storica che ci riporta agli anni del Fascismo e della Seconda Guerra mondiale. Una cornice di conflitti, totalitarismi, propaganda e ribellione che non può fare a meno di richiamare l’attenzione a quanto ancora oggi accade in Ucraina, in Siria, in Iran come in diverse altre parti del mondo.
Da “La forma dell’acqua” a quella del legno di un albero di pino intagliato ad animare un corpo che richiamasse le spoglie di un figlio morto a causa di una bomba sparata (non) a caso.
Geppetto è in lutto per la perdita del suo Carlo – l’autore del romanzo diventa così uno dei personaggi del film -, passa il tempo a bere e a prendersi cura dell’albero nato da una pigna che il figlio aveva raccolto per lui: ed è proprio in seguito a una notte di intense bevute, che dal legno nasce Pinocchio. La forma del legno insegue anche la simbologia religiosa nel crocifisso, altro richiamo alla vita e alla morte: durante il film Pinocchio muore e risorge più volte, in un dialogo costante con l’oltretomba come un viaggio olografico simil dantesco nella esplorazione/elaborazione dei piaceri e dei dolori dell’esistenza.
Sebastian, il Grillo parlante aspirante scrittore, è la voce che accompagna lo spettatore lungo tutto il film disponibile su Netflix. La fata turchina ha decisamente cambiato aspetto e ha una sorella: nella poetica di Del Toro i mostri e i freak si fanno metafora delle deformità dell’animo umano, reale spunto cui la narrazione porta a riflettere.
Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe sono fusi in un unico personaggio: il Conte Volpe, è un imprenditore teatrale impegnato a compiacere il Duce e ad alimentare la propaganda fascista. Lui vede in Pinocchio il segreto del suo successo: il “burattino senza fili”, però, si ribella alla sua politica da “minculpop” sabotando lo spettacolo scritto per omaggiare Mussolini, presente in sala, grazie anche all’aiuto di Spazzatura, la scimmietta ventriloqua che “manovra” le marionette in teatro.
Il Paese dei Balocchi è un campo di addestramento fascista dove, tra balilla e soldati privati di ogni umanità, viene reclutato anche Pinocchio dopo aver “infangato” il Duce.
Le musiche sono di Alexandre Desplat che, per registrarle, pare abbia usato solo strumenti in legno: pianoforte, chitarra, mandolino, flauto, oboe e marimba.
Guillermo Del Toro ricerca in ogni fotogramma l’imperfezione della materia, ma è proprio nell’imperfezione delle forme che prova a dare valore alla riflessione sulla sostanza. Il film d’animazione, realizzato in stop-motion da una rivisitazione della fiaba classica fatta nel 2002 dall’autore e illustratore Gris Grimly, ha una chiara connotazione antifascista in cui la politica emerge in maniera ironica ma con una netta presa di posizione. Contiene diversi livelli di lettura in un continuo gioco di rimandi, messaggi e metafore utilizzati senza appesantire ciò che ha da dire.
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