5 Novembre 2020

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Pasolini, in quel futuro aprile

«Non pensavo direttamente a Dio ma all’altro, cosa molto più importante per me. Con la scoperta di questa nuova dimensione finii col credere al miracolo e alla profezia».

 

La voce di Pier Paolo Pasolini scorre sulle immagini della sua vita giovane. Negli anni di Casarsa, quelli delle corse in bici verso il Tagliamento, lì dove i corpi nuovi all’ardore scoprivano il loro essere nel mondo dal cuore della provincia friulana.

 

Ad accompagnare i ricordi c’è il filo della memoria tessuto da Nico Naldini, cugino del poeta assassinato il 2 novembre del 1975. Rivelazioni poetiche su quel giovane che nel ’42 usciva con un libro di poesie “nel dialetto di sua madre” e nel ’45 aveva fondato nella sua terra una piccola accademia di lingua friulana. Lo fece proprio negli anni del fascismo, quando la politica linguistica bandiva le identità territoriali dialettali PPP ne faceva strumento di resistenza.

 

«Ogni domenica ci radunava e noi recitavamo le poesie composte durante la settimana – racconta Naldini.- Le prime poesie le ho date, in realtà, a mia nonna che è andata a portarle a lui. Avevo bisogno di un emissario. Mica potevo presentarmi così da Pasolini in quattro e quattr’otto. Malgrado vivessi ogni momento della mia vita con lui, ero sempre in uno stato di attesa di un giudizio che poteva colpirmi come una lancia».

 

Mentre svolgeva il suo studio sulla lingua parlata dai contadini friulani, allo stesso modo Pasolini rappresenta nei suoi dipinti la presenza di un mondo popolare: «Il primo gesto sociale di allearsi agli umili, contro i potenti, è stata la sua scelta di studiare il linguaggio dialettale invece che la poesia aulica. La parlata friulana della destra del Tagliamento fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni, lui cominciò a renderla grafica. Quel popolo sapeva parlare solo quella lingua, in casi ufficiali parlava un italiano imparato alle elementari quindi poco più di un dialetto».

 

Il dialetto ha la consistenza dell’esistenza vissuta non solo nel presente dice Naldini – venuto a mancare lo scorso settembre -. La poetica di PPP scende dentro se stessa e si inabissa.  E dentro il suo abisso, potrebbe anche affogare. Tra le trame sonore del suo dialetto si fa, sì, resistenza ma anche scoperta. Neologismo di nuovi sentimenti.  Come per “teta velata”, come spiega la voce di Pasolini.

 

«Fu a Belluno, avevo poco più di tre anni. Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, più di ogni altra cosa mi colpirono le gambe soprattutto nella parte convessa interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento. Vedevo in quei nervi scattanti un simbolo della vita che dovevo ancora raggiungere: mi rappresentavano l’essere grande in quel gesto di giovanetto corrente. Ora so che era un sentimento acutamente sensuale. Se lo riprovo sento con esattezza dentro le viscere l’intenerimento, l’accoratezza e la violenza del desiderio. Era il senso dell’irraggiungibile, del carnale – un senso per cui non è stato ancora inventato un nome. Io lo inventai allora e fu teta veleta. Già nel vedere quelle gambe piegate nella furia del gioco mi dissi che provavo teta veleta, qualcosa come un solletico, una seduzione, un’umiliazione».

 

Una nuova consapevolezza che nel ’49, dopo i cosiddetti “fatti di Ramuscello”, gli costò la cacciata dal PCI friulano, in cui Pasolini militava: «Uno scandalo montato su cui Casarsa rimase muta del suo mutismo ipocrita» sottolinea Naldini. Una consapevolezza che, qualche anno più tardi gli costerà la vita. Anche se, sulle circostanze, le cause, le dinamiche che hanno portato alla morte di un autore fondamentale tutt’oggi per comprendere il presente, è possibile dire non sia stata fatta, ancora, “pura luce”.

 

Dolci quanto sofferti i ricordi legati al rapporto di PPP con sua madre Susanna, suo fratello Guido e papà Carlo Alberto, ufficiale dell’esercito. È proprio da un passo di una lirica che Pasolini dedica a sua madre, da lui profondamente amata e da lei ricambiato, che prende il nome il documentario in cui è raccolta la storia di quegli anni con l’ultima intervista aNico Naldini, poeta e cugino di Pasolini.

 

“In un futuro aprile” è uscito lo scorso 2 novembre, in occasione dei 45 anni dalla morte di PPP, prodotto da Altreforme e distribuito da Tucker Film . Con la chiusura dei cinema, è stato possibile vederlo grazie alle proiezioni effettuate online attraverso il circuito nazionale #iorestoinSALA.

 

Diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto, le musiche originali di Paolo Corberi, il documentario è stato realizzato in collaborazione con Centro Studio Pier Paolo Pasolini, Cinemazeo, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Kublai Film.

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