Lo scenario quasi rupestre ci porta nelle cavità della Calabria rurale, quella più interna, periferica. Aree dove traspare forte l’affiliazione alla ‘Ndrangheta, luoghi che questa vuole mantenere il più possibile isolati, dove la cultura non deve arrivare.
Francesco Costabile, con il suo esordio alla regia di un lungometraggio, trasfigura questa realtà e la rende universale attraverso il mezzo cinematografico. Da calabrese, conosce i meccanismi che la animano e li riporta nel suo racconto di una condizione femminile costretta alla sudditanza, a comportamenti che arrivano a contraddire la natura stessa della donna, il suo senso materno.
Il film si ispira a fatti realmente accaduti, in particolare alla storia di Maria Concetta Cacciola e Giusy Pesce, tra le prime donne ad essersi ribellate alla ‘Ndrangheta. La sceneggiatura nasce dal libro-inchiesta di Lirio Abbate “Fimmine ribelli”. Un apporto importante alla scrittura del personaggio principale, Rosa, è stata la testimonianza di Denise Cosco, figlia di Lea Garofalo, vittima della ‘Ndrangheta fatta sparire nel nulla. Altra figura di raccordo tra le storie è stata quella di Enza Rando, avvocato e vicepresidente di Libera. Associazioni, nomi, numeri contro le mafie, che ha seguito il percorso di queste donne.
“Una femmina” restituisce l’implosione delle coscienze: Rosa è una ragazza che sviluppa il suo desiderio di distacco da quella famiglia che le ha ucciso sua madre davanti agli occhi quando era solo una bambina; una famiglia che le ha taciuto la verità privandola dell’amore materno, della speranza. La ‘Ndrangheta fa forza su una struttura archetipica della famiglia. Sua nonna avrebbe potuto fare qualcosa per evitarle questo dolore, per cambiare le cose, ma non fa nulla: anche lei vittima di strutture patriarcali, ne diventa pienamente complice. Quando man mano la verità riaffiora, Rosa prende sempre più le distanze da loro, vuole dissociarsi dal male in cui è costretta a vivere.
In lei prevale la ribellione che cerca giustizia per riscattare sua madre, per riconquistare una forma di libertà. La sua personale vendetta diventa scardinare quella realtà criminale, pur facendone ella stessa parte. La scena finale è emblematica in questo senso: Rosa decide di togliere il velo ad ogni omertà, decide di collaborare con le autorità.
Nello scorrere delle immagini il regista racconta l’universo sommerso di chi è costretto a subire, e a perpetrare, una cultura patriarcale incarnata dal padre-padrone. Tenta, allo stesso tempo, di sottolineare come grazie al coraggio dei sentimenti positivi, delle idee e delle azioni ispirate al bene e al rispetto della Legge, è possibile fare la propria parte per inclinare, sabotare, sconfiggere il sistema criminale.
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