Dire “stranizza” in siculo è come dire “appucundria” in napoletano: richiama una nostalgia melanconica, un sentimento di forte disincanto.
La stranezza di Pirandello, però, ha anche il volto del bizzarro, della stravaganza, della straordinarietà che è il “nuovo”. Tratteggia la sua produzione autoriale, la sua drammaturgia, al punto da recidere ogni legame con la tradizione, rompendo apertamente i canoni del tempo.
Con il suo metateatro del reale non mette solo in gioco la vita su un palcoscenico, dove «ogni personaggio che nasce vivo può ridersi anche della morte». Scardina il confine tra palco e platea rivoluzionando il modo di esperire la sala, di fruire un’opera.
Scena madre del film è il debutto a teatro di “Sei personaggi in cerca d’autore”: gli attori raggiungono il proscenio dalla sala, recitando ognuno la propria parte. Sconfinano, abbattono la quarta parete, dimostrando che «la prima maschera che indossiamo è il nostro stesso volto».
Il film diretto da Roberto Andò, parte da un fatto reale: il viaggio di Pirandello – interpretato da Toni Servillo – in Sicilia, in occasione del compleanno dell’amico Giovanni Verga.
La sceneggiatura non è didascalica, quello che emerge chiaro è l’intreccio fra vita e teatro che anima il geniale autore di “Il fu Mattia Pascal”, il suo metodo di costruzione della “creatura-personaggio” che prende la forma di chi le presta la carne.
«Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda – si crede “uno” ma non è vero: è “tanti”, signore, “tanti”, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: “uno” con questo, “uno” con quello – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre “uno per tutti”, e sempre “quest’uno” che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero!»
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